I Dattilografi
Sylvia: Che ora è, Paul? Non mi sembra che siano già le cinque.
Paul: (Guardando l’orologio) Ancora … Due minuti. (Si siedono davanti alle macchine da scrivere, con il cappotto indosso, immobili, privi di espressione, ad attendere che passino due minuti. Spengono le lampade sulla scrivania. )
“Due”, liberamente tratto da “I dattilografi” di Murray Schisgal, atto unico edito nel 1960, racconta di Paul e Sylvia. L’assurdo s’intreccia con il reale, le aspirazioni con i rimpianti.
Due impiegati,
due macchine da scrivere,
due storie.
Un ufficio, un capoufficio, un lavoro alienante, un tempo lento e inesorabile.
“Due”, liberamente tratto da “I dattilografi” di Murray Schisgal, atto unico edito nel 1960, racconta di Paul e Sylvia. L’assurdo s’intreccia con il reale, le aspirazioni con i rimpianti; in un tempo bianco e rarefatto i protagonisti inciampano su se stessi e nelle trappole di una vita narrata, e troppe volte riflessa su uno specchio opaco. In un ping pong di battute e silenzi serrati, Paul e Sylvia attendono il suono della campanella, l’ultimo giro del tempo, lo scoccare delle 17, per lasciare il loro posto, uscire, forse mentirsi, per poi tornare e, di nuovo forse, raccontare ancora.
La scena è speculare. Due scrivanie alle estremità, 2 macchine da scrivere, 2 sedie, 2 pattumiere, 2 appendiabiti, 2 lampade da ufficio. Sul tavolo, in posizione centrale, speculari, una serie di fascicoli, carte, a dividere le due postazioni.
La specularità come significante o significato. Due esseri umani vicini che vivono nel tragico paradosso del parallelismo, quello dell’impossibilità di incontrarsi.
Lo spettacolo si sviluppa nella sua asetticità evidenziata dal bianco che avvolge e comprime i protagonisti.
Il dirsi è volutamente delegato ad un altrove che allontana nonostante uno spazio ridotto e circoscritto.
E poi un tempo, un orologio che incombe inesorabile come un ticchettio, posto in fondo alla scena come un antico e rumoroso pendolo a muro. Un orologio in questo caso posto di spalle, un tempo silenzioso e autoritario come solo un capoufficio può essere.
Con Francesca Borriero Roberto Ingenito
Costumi Rosario Martone
Scene Giovanni Luigi Frattini & Erika Pisano
Foto di scena Giancarlo De Luca
Riscrittura Fabio Pisano
Regia Roberto Ingenito