Vien dunque, Amor, cagion d’ogni mio bene, d’ogni speranza e d’ogni lieto effetto; cantiamo insieme un poco, non de’ sospir né delle amare pene ch’or più dolce mi fanno il tuo diletto, ma sol del chiaro foco, nel quale ardendo in festa vivo e ‘n gioco, te adorando come un mio idio.
Raccontare il Decameron, la maestosa opera di Giovanni Boccaccio scritta nella metà del 1300, torna quasi come un urgenza profetica nel nostro attuale periodo storico.
Raccontare il Decameron, la maestosa opera di Giovanni Boccaccio scritta nella metà del 1300, torna quasi come un urgenza profetica nel nostro attuale periodo storico.
La peste nera, la peste raccontata da numerosa e illuminata letteratura riflette come specchio lontano la presente pandemia.
E così, come allora, un gruppo di giovani per sfuggire al “male”, si aliena, si estranea, si allontana e si chiude, o rinchiude.
Possibilità di fuga? Raccontare o raccontarsi; evasione necessaria, espediente indispensabile per procedere con cautela verso il fuori, l’esterno, il “ritorno alla normalità”; incontro alla sospirata buona notizia.
Da questa evidente e inevitabile connessione, nasce Boccaccio Suite.
Motore dello spettacolo, rivolto al pubblico dei più giovani, muove attorno al concetto di chiusura (o forse più precisamente: clausura) forzata, necessaria, ineluttabile.
Cinque individui condivideranno uno spazio circoscritto, scomodo in attesa della “buona novella”.
E dunque confondendo i piani, il testo con il pretesto, il significato e il significante, osserviamo i protagonisti, come nell’opera magna, abusare dello spazio (in questo caso volutamente ridotto) e del tempo in eccesso per catapultarsi in un racconto salvifico quanto necessario, possibilità unica per dare senso ad un incedere del tempo altrimenti dolorosamente uguale.
Così Chichibio e Calandrino, personaggi precursori, alter-ego delle più note maschere della commedia dell’arte diventano possibilità di racconto e di svago per gli abitanti della nostra suite.
Un cubo, quindi, come un acquario posto al centro del palco, vede ospitare in un incedere incalzante di pause e battute serrate, tra prosa contemporanea e un fedele Volgare decameroniano, tra gag boccaccesche e attimi di attenta riflessione, tre attori, un musicista e una danzatrice.
Uno spettacolo che parla del nostro tempo non volendolo raccontare, una lente d’ingrandimento necessariamente opaca su un periodo che non vediamo l’ora diventi ricordo lontano per essere semplicemente narrato.
Con:
Francesca Borriero
Francesco Luongo
Roberto Ingenito
Francesco Santagata
Emanuela Urga
Testo
Fabio Pisano
Musiche originali
Francesco Santagata
Coreografie
Emanuela Urga
Scene
Erika Pisano & Giovanni Luigi Frattini
Costumi
Rosario Martone
Regia
Roberto Ingenito
Progetto di residenza artistica selezionato per “HeartH – ecosystem of arts and theater” sostenuto dall’Assessorato alla Cultura e al Turismo del Comune di Napoli, ideato da Teatri Associati di Napoli e Interno 5.