“Perché civile, esser civile, vuol dire proprio questo:
dentro, neri come corvi; fuori, bianchi come colombi;
il corpo fiele; in bocca miele.”
Una satira di quella società che si vanta di vivere secondo esemplari principi morali, ma che, invece, nell’intimo delle proprie case è capace di rinnegare qualsiasi valore.
Il professor Paolino è un insegnante che tiene lezioni private a ragazzi che necessitano di ripetizioni. È una persona molto precisa, di ineccepibile moralità, almeno nelle intenzioni. La sua quiete viene interrotta dall’arrivo della signora Perella, madre di uno dei suoi studenti, sua amante ma anche moglie di un capitano “lupo di mare”, che passa mesi a bordo della sua nave e che riserva alla vita famigliare solo pochi giorni fra un imbarco e l’altro. La signora è disperata; sono presenti tutti i sintomi di una gravidanza. E dato che il marito è in navigazione da alcuni mesi, il figlio non può essere suo, ma appunto, del professor Paolino. Purtroppo ciò pone la signora sull’orlo del baratro. Occorre trovare un rimedio. Si dà il caso che il capitano Perella debba approdare in città proprio quel giorno. La soluzione potrebbe trovarsi nella speranza che il capitano, dopo una lunga assenza per mare, giungendo a casa fosse attratto dalla moglie e si unisse di nuovo con lei. In questo modo si potrebbe ottenere una “soluzione” alla gravidanza adulterina. Le cose tuttavia non sono così semplici. Il capitano, che ha un’altra donna e altri figli a Napoli, soddisfa le proprie voglie lontano dalla sua legittima consorte, costringendo la stessa ad un’astinenza forzata da anni. E quando egli torna da una lunga missione per nave, generalmente sbarca prima a Napoli. Il capitano, quindi, per evitare qualunque tipo di rapporto, litiga di brutto con la moglie e si ritira a dormire in una stanza separata, pronto a ripartire il mattino successivo. Che fare, allora? Il professor Paolino si rivolge al dottor Pulejo, amico e suo vicino di casa, nella speranza che gli possa consigliare un qualche farmaco capace di stimolare gli istinti del capitano. E questo appunto avverrà. Nel secondo atto, Paolino viene invitato a cena in casa Parella. Egli arriva un po’ in anticipo, prima del capitano. Porta con sé il pasticcio nel quale il medico suo complice, ha inoculato il farmaco afrodisiaco; e si dà da fare per rendere attraente la donna, vestendola, pettinandola, truccandola con effetti a dir poco grotteschi, mentre la donna cerca di difendere il proprio pudore facendo resistenza ad una eccessiva sfacciataggine nel mettere in mostra le proprie beltà. Ma Paolino è rigoroso: bisogna che la donna diventi appetibile e la stimola ad assumere atteggiamenti che dovrebbero essere provocanti. L’effetto sul capitano è deleterio. Si instaurano subito discussioni che ben presto tracimano in vere e proprie liti. Il capitano alla fine, dopo aver 3 buttato all’aria il tavolo con tutta la cena, si ritira, come al solito, nella propria stanza e si chiude a chiave lasciando fuori la moglie. Unico dato positivo: il capitano ha trovato di proprio gusto il pasticcio e l’ha divorato tutto. La povera signora Parella decide di mettersi a sedere davanti alla porta chiusa della camera del marito in paziente attesa, mentre Paolino se ne torna a casa a malincuore. Prima di uscire raccomanda alla donna di esporre alla finestra un pianta di fiori qualora il marito si fosse unito con lei. Nel terzo atto siamo al mattino presto in casa Parella. Il Capitano si è alzato, apre le finestre per prendere un po’ d’aria, e vede sulla strada il prof. Paolino che passeggia. La sua preoccupazione è quella di vedere esposto il vaso di fiori che tuttavia, purtroppo, non c’è. Il Capitano, un po’ meravigliato di vederlo davanti a casa a quell’ora del mattino, lo invita a salire e gli offre il caffè. Fra i due si apre una conversazione che per Paolino è un tentativo di capire se durante la notte sia successo qualche cosa di ciò che egli spera, mentre il Capitano si meraviglia non riuscendo a comprendere certe insinuazioni o certe allusioni. Paolino rivela al capitano di aver passato la notte insonne, ma anche il capitano ha faticato a prendere sonno e per questo ha sentito il bisogno dell’aria pura mattutina. Finalmente entra in scena la signora Perella, tutta scarmigliata e sorridente. Si avvicina alla fioriera, prende in mano un vaso di fiori e lo appoggia alla finestra. Poi un secondo. Poi un terzo, un quarto e un quinto, fra la gioia “disarmata” di Paolino che così apprende che il problema che lo preoccupava è stato risolto.
Per Luigi Pirandello l’uomo è la maschera, in questo caso quella dell’insospettabile professor Paolino che cela sotto il suo ostinato perbenismo una relazione con la signora Perella, maschera della virtù: donna introversa e castigata, madre di famiglia, maltrattata e abbandonata dal marito, un sempre lontano capitano di marina, maschera della bestia, anch’egli impegnato in una tresca, con un’altra donna altrove. Le maschere asseconderebbero la farsa creata e nutrita nella quale sono coinvolte se il destino non intervenisse inesorabile.
Questa commedia dalle sfumature tragiche rappresenta uno degli attacchi più feroci contro l’umanità e i suoi astratti valori. Ancora una volta Pirandello prende di mira l’ipocrisia della società piccolo-borghese di inizio secolo scorso, cogliendone le debolezze, evidenziandone i silenzi e le barbarie morali attraverso il suo preciso, piccato umorismo. Torna, come in gran parte della produzione artistica pirandelliana, la maschera. Invisibile quanto inevitabile, orpello dietro il quale nascondersi per sostenere il proprio io in un’ipocrita, eterea morale.
La rilettura della compagnia Liberaimago pone l’attenzione sulle caratteristiche tragicomiche di un’opera che consente ai personaggi di assumere connotati farseschi. I protagonisti sembrano guidati da fili invisibili, che ne assecondano un, evidentemente, già segnato destino. Parola chiave: Ypocritès, cioè “attore”, ma anche colui che agisce simulando sentimenti, qualità e intenzioni lodevoli. E proprio gli attori come burattini mossi dal filo invisibile delle convezioni sociali, dalle quali sembra impossibile allontanarsi, vivono in una perenne quanto onesta finzione. Tutto, agli occhi dello spettatore, si svelerà volutamente finto, fasullo, contraffatto e scorretto; come nella forma così nel contenuto.
La borghesia, ancora una volta, e mai come prima, risuona come cassa di risonanza di vite che trovano in essa il rifugio e la condanna. L’autore è maestro nel disegnare perfettamente l’affresco delle ipocrisie del tempo dalle quali pare non esserci scampo. L’elegante scrittura di Pirandello ben si mescola, dunque, ad una colorata, quanto atroce farsa borghese e la riscrittura del testo da noi proposta non si discosta assolutamente dagli intenti dell’autore, ma piuttosto è alleggerita e compressa per una maggiore e più godibile fruizione da parte del giovane pubblico.